Al di là delle cifre, che, a seconda delle interpretazioni, oscillano attorno al quarto di milione di persone l’esodo costituì una netta, radicale soluzione di continuità dal punto di vista storico, in quanto un’intera componente nazionale scomparve quasi completamente nell’arco di poco più di un decennio. Il risultato dell’esodo fu oggettivamente la quasi totale cancellazione della componente italiana dell’Istria e di Fiume.

Tabella: Lingua d’uso in Istria nei censimenti dal 1880 al 1921

Alla fine l’esodo, nelle sue varie fasi, avrebbe coinvolto, secondo le varie fonti, un numero di persone oscillante dalle 250.000 alle 350.000 unità.

Tabella: Dati comparativi sulla dimensione numerica dell’esodo secondo le principali fonti

Le rilevazioni statistiche compiute dall’Opera Assistenza Profughi nel 1958 indicavano la presenza di circa 250.000 esodati (dall’opera di Amedeo Colella «L’esodo dalle terre adriatiche»).

Secondo le stime fornite dalle associazioni degli esuli il numero delle persone costrette ad abbandonare la propria terra si aggirerebbe attorno alle 350.000 persone (vedi l’opera «L’esodo dei 350.000 Giuliani, Fiumani e Dalmati» di Padre Flaminio Rocchi), mentre vari studi desunti da fonti jugoslave (croate) rilevano un’ampiezza numerica del fenomeno oscillante dalle 180.000 alle 220.000 unità (rilevazioni limitate però solo al territorio sottoposto a sovranità croata, esclusa la Zona B).

Le stime più attendibili, come rilevato da numerosi storici, tra cui Carlo Schiffrer (che riprese le conclusioni della ricerca compiuta dall’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati) indicano una cifra superiore al quarto di milione di profughi.

La questione della quantificazione dell’esodo appare oggi ancora molto complessa in quanto nel dopoguerra non é stato mai effettuato un vero e proprio censimento degli italiani costretti ad abbandonare il proprio insediamento storico.

Resta il fatto incontrovertibile che le cittadine della costa occidentale dell’Istria ed i principali centri urbani della regione furono quasi completamente svuotati, che oltre metà (se non i due terzi) della popolazione complessiva della parte “ceduta” della Venezia Giulia dovette abbandonare per sempre la propria terra e che, soprattutto, è stata snaturata e cancellata in modo irreversibile, a conclusione di un radicale processo di espulsione e di sradicamento, la fisionomia culturale, linguistica e nazionale dell’Adriatico orientale.

La persistenza e la realtà culturale e associativa dei pochi «rimasti», divenuti minoranza nazionale, ha contribuito a salvaguardare la continuità della presenza civile e culturale italiana in questi territori, ma non ha potuto impedire gli effetti di uno sconvolgimento di portata storica, ovvero il mutamento radicale degli equilibri demografici ed etnici della regione.