Le complesse origini del fenomeno, cioè le motivazioni che condussero tutti gli strati sociali a una scelta così drastica, sono da ricercare, oltre che nelle motivazioni soggettive (principalmente la paura per l’incolumità fisica, per la perdita o la negazione della propria identità nazionale, linguistica, e culturale, o per il radicale cambiamento politico, economico, sociale, religioso e culturale avvenuto nella società istriana), nelle politiche attuate dal regime comunista jugoslavo.

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I vari soggetti politici (dal governo centrale ai Comitati popolari di liberazione, alla polizia segreta e all’esercito) furono nei vari periodi mossi da logiche spesso diverse, come ad esempio la rivalsa nazionale, ben presente a livello di repubbliche croata e slovena, e l’aggressività nazionale e ideologica dei quadri locali del regime; la questione di fondo, pressoché impossibile da ricostruire, rimane appunto la logica che di volta in volta ha regolato il nesso tra radicalismo ideologico e pulsioni nazionaliste.

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È perciò difficile rispondere (almeno in modo non approssimativo) all’interrogativo se ci sia stato o no un piano predefinito di persecuzione politica e di “pulizia etnica” nei confronti della popolazione italiana in Istria e a Fiume. Il punto è che si è assistito a un massiccio, radicale sradicamento, e all’espulsione di fatto di un’intera componente nazionale e linguistica dal territorio in cui essa costituiva, da lunghi secoli, un elemento costitutivo e autoctono, preminente e in gran parte maggioritario, dell’area del proprio insediamento storico.