Zara distrutta dai bombardamenti nel 1944

Zara distrutta dai bombardamenti nel 1944

Ebbe così inizio la prima massiccia ondata di partenze dall’Istria, da Fiume e dal resto dei territori ceduti alla Jugoslavia. I primi ad andarsene furono gli italiani di Zara, città che dal novembre del 1943 all’ottobre del 1944 fu sottoposta a ben 54 bombardamenti alleati che distrussero gran parte del tessuto urbano e provocarono migliaia di vittime.

Mappa del centro storico di Zara nel 1930 (Egidio Ivetic, "Adriatico orientale. Atlante storico di un litorale mediterraneo", CRS Rovigno, pag. 188)

Mappa del centro storico di Zara nel 1930 (Egidio Ivetic, “Adriatico orientale. Atlante storico di un litorale mediterraneo”, CRS Rovigno, pag. 188)

La città fu occupata dall’esercito di liberazione jugoslavo di Tito il 31 ottobre del 1944. Con l’occupazione di Tito iniziarono le persecuzioni nei confronti degli italiani, in particolare quelli più in vista, come i Luxardo, proprietari della nota distilleria, con l’uccisione, assieme a molte altre persone, dei due fratelli Piero e Nicolò. Proprio per questi motivi Zara fu protagonista di un esodo anticipato e strisciante, rispetto agli altri territori successivamente ceduti, con meta inizialmente Trieste, Venezia o le altre città italiane dell’altra sponda dell’Adriatico. Entro il 1945 oltre il 70 % della popolazione zaratina abbandonò per sempre la propria città. 

Quasi immediato, dopo l’entrata delle truppe jugoslave a Fiume il 3 maggio del 1945, fu l’esodo, nelle sue prime ondate, anche dal capoluogo quarnerino, il maggiore centro urbano, portuale e industriale dell’area che sarebbe stata ceduta, nel 1947, alla Jugoslavia. Le prime fughe e gli abbandoni furono certamente indotti dalla dura repressione attuata, quasi immediatamente, dalle forze occupanti. 

Bombardamento di Fiume da parte della Royal Air Force, 1944

Bombardamento di Fiume da parte della Royal Air Force, 1944

L’eliminazione di quasi tutti i vertici del partito autonomista (Mario Blasich, Giuseppe Sincich, Nevio Skull), le uccisioni di personalità politiche come il senatore Riccardo Gigante, le confische e requisizioni, i processi sommari, gli abusi amministrativi e la graduale cancellazione dell’identità e presenza italiane, la paura dettata dall’ assenza di qualsivoglia garanzia legale o democratica,  provocarono le prime numerose e sofferte “partenze”. 

 

Mappa del centro di Fiume nel 1930

Mappa del centro di Fiume nel 1930 (Egidio Ivetic, “Adriatico orientale. Atlante storico di un litorale mediterraneo”, CRS Rovigno, pag. 187)

Già entro la fine del 1946 numerose migliaia di fiumani – secondo varie fonti  circa 20.000 persone – abbandonarono la città.

Pola dopo essere stata sottoposta all’occupazione jugoslava nella primavera del 1945, vide ribaltarsi la sua sorte con l’accordo di Belgrado del 9 giugno 1945, in forza del quale le formazioni jugoslave dovettero allontanarsi ai confini della città e i poteri popolari vennero sostituiti da un governo militare alleato, ovvero dall’amministrazione militare anglo-americana che resse la città sino a che il Trattato di Pace ne stabilì, nel 1947, la cessione alla Jugoslavia. 

Mappa del centro di Pola nel 1930 (Egidio Ivetic, "Adriatico orientale. Atlante storico di un litorale mediterraneo", CRS Rovigno, pag. 187)

Mappa del centro di Pola nel 1930 (Egidio Ivetic, “Adriatico orientale. Atlante storico di un litorale mediterraneo”, CRS Rovigno, pag. 187)

Per questo motivo l’abbandono della stragrande maggioranza della popolazione italiana da Pola è strettamente legato alle vicende internazionali che segnarono il destino della città e in generale di tutte delle terre nord adriatiche. Pola venne abbandonata dal 90% della sua popolazione  (circa 28.000 persone) nel periodo che va dalla fine del dicembre 1946 al settembre 1947, quando fu evidente che anche questa città, come era già successo con Fiume e Zara, sarebbe passata alla Jugoslavia. Dal momento che tali partenze avvennero sotto l’attenzione degli osservatori internazionali, la città divenne per le comunità degli esuli il simbolo del “martirio” degli italiani dell’Istria.

Immagine iconica dell'esodo da Pola (1945)

Immagine iconica dell’esodo da Pola (1945)

Il biennio che va dal maggio 1945 al settembre 1947 fu drammatico per la popolazione cittadina. La liberazione dai tedeschi nel maggio del 1945 aveva lasciato il posto a mesi di incertezze e paure. Pola era una città lacerata, non soltanto dai pesanti bombardamenti alleati ai quali era stata sottoposta sin dal gennaio 1944, ma soprattutto sotto il profilo politico, dove le strutture politiche italiane di orientamento antifascista, causa l’attività investigativa nazifascista e gli ostacoli, le accuse e le intimidazioni dei comunisti filo jugoslavi, non erano state in grado di esprimere forme autonome di resistenza italiana, diverse dal movimento di liberazione jugoslavo. In generale la popolazione cittadina – ad eccezione di quegli italiani che erano entrati nelle fila del Mpl e che avevano accettato l’annessione dell’Istria e di Pola alla Jugoslavia – era valutata in modo negativo e considerata “reazionaria” da parte delle strutture del servizio di sicurezza jugoslavo (Ozna).

Ma di fronte all’impazienza del “nuovo ordine” jugoslavo, che aspettava ai valichi d’ingresso controllati dalle forze anglo-americane, c’erano l’ansia e lo smarrimento dei polesi che attendevano le risoluzioni della conferenza di pace a Parigi. Verso la metà del 1946 (giugno-luglio), quando i ministri degli esteri ufficialmente scelsero la linea francese Bidault – che affidava quasi tutta la Venezia Giulia, Pola compresa, alla Jugoslavia – la situazione politica nella città e nella regione mutò. A Pola il fronte filoitaliano, specie dopo la strage di Vergarolla dell’agosto 1946, si trasformò in un movimento che, alla scelta di vivere nella Jugoslavia di Tito, preferì l’abbandono in massa della città.

Cippo in ricordo della Strage di Vergarolla

Cippo in ricordo della Strage di Vergarolla, via Kandler, Pola

Si potrebbero ricordare tanti episodi di quel biennio, tra i quali sicuramente il più doloroso e luttuoso fu la strage dei bagnanti sulla spiaggia di Vergarolla, il 18 agosto del ’46, le cui cause non sono mai state accertate, una disgrazia (provocata dallo scoppio di ventotto mine antisbarco e alcuni siluri che avrebbero dovuto essere disattivati, per un ammontare di 9 tonnellate di esplosivo) non si sa se accidentale o voluta dagli jugoslavi per aumentare il terrore. 

È inoltre doveroso ricordare il coraggio di molti professionisti e medici che poi se ne dovettero andare (fra cui il chirurgo Geppino Micheletti, medaglia d’argento al valor civile, che nonostante avesse perduto nella strage di Vergarolla il fratello, la cognata e due figli di 5 e 9 anni, continuò ad operare i feriti senza sosta nelle 24 ore successive all’esplosione, o il sovrintendente ai Beni artistici, Mario Mirabella Roberti, che indefessamente ha lavorato con i suoi collaboratori del Museo archeologico a ricostruire le colonne e i muri del tempio di Augusto polverizzati nel bombardamento aereo alleato, pur sapendo che era l’ultima cosa che stavano facendo a Pola).

Mario Mirabella Roberti

Mario Mirabella Roberti

Geppino Micheletti

Geppino Micheletti

Già il 3 luglio 1946 si costituì un “Comitato Esodo di Pola” che il 12 luglio cominciò la raccolta delle dichiarazioni dei cittadini che intendevano lasciare la città nel caso della sua cessione alla Jugoslavia. Due settimane più tardi l’operazione si concluse e il 28 luglio i dati rivelarono, secondo il giornale del CLN l’“Arena di Pola”, che su 31.700 cittadini polesi, 28.058 avevano scelto l’esilio. I dati riguardanti le dichiarazioni di esodo della popolazione di Pola furono pubblicati dal Comitato di assistenza di Pola (riferiti alla data del 15 luglio 1946). 

Approfondimento: Il ruolo dei CLN nell’immediato Dopoguerra. La stampa clandestina

L’atto è stato in genere interpretato come un tentativo di pressione sugli alleati a sostegno della richiesta di plebiscito, ma ebbe anche un significato ben più profondo. Nell’estate del 1946 a Pola l’esodo era già diventato una tragica realtà alla quale ci si doveva preparare.

Quando vennero rese note le decisioni della Conferenza di pace l’orientamento plebiscitario a favore dell’esodo apparve più come la reazione spontanea e disperata della popolazione, piuttosto che un’operazione di convincimento da parte delle formazioni politiche italiane, che organizzarono il trasferimento in massa dei cittadini.  

Pola, Tempio di Augusto

Pola, Tempio di Augusto dopo il 1944

Di fronte al panico crescente in città, il CLN polese dichiarò aperto l’esodo il 23 dicembre del 1946. Gli abitanti così cominciarono ad abbandonare la città in pieno inverno, su piccole motonavi che facevano la spola fra Pola e Trieste. Solo ai primi di febbraio ad essi si unì il piroscafo Toscana, messo a disposizione dal governo italiano. 

Il Trattato di Pace apriva così un drammatico dilemma per una gran parte della popolazione italiana: o rimanere in balia di un potere che non offriva alcuna garanzia sul piano della sicurezza personale e delle libertà civili, così come su quella del proprio sentire nazionale e politico, oppure abbandonare tutto per prendere una via dell’esilio che appariva assai incerta. All’inizio del 1947 si manifestarono i primi duri contraccolpi della Conferenza di pace, con gli scontri avvenuti tra manifestanti e polizia civile presso il Mulino Sansa di Pola per la difesa delle macchine in via di trasferimento in Italia (che causarono tre morti – Mario Lussi, Antonio Salgari e Lino Mariani – e sedici feriti tra la folla dei manifestanti filo-jugoslavi) e le prime partenze degli esuli con il piroscafo “Toscana”. Ma le vere e proprie operazioni dell’esodo da Pola furono aperte il 15 gennaio 1947 con mezzi limitati e con largo ricorso all’iniziativa privata.

Partenza del Toscana da Pola

Partenza del Toscana da Pola

Prima pagina del quotidiano "L'Arena di Pola" del 20 agosto 1946

Prima pagina del quotidiano “L’Arena di Pola” del 20 agosto 1946

Il primo viaggio del piroscafo Toscana, da Pola a Venezia, avvenne il 2 febbraio 1947 (m/s Grado e Pola facevano già la spola tra Pola e Trieste). Col Toscana fino al 22 febbraio partirono 8500 persone, col m/s Pola e Grado 7000. Il penultimo e l’ultimo viaggio (14 e 20 marzo) del Toscana furono riservati a coloro che avevano dovuto trattenersi in città per esigenze di lavoro relative all’esodo. Sempre secondo i dati pubblicati su “L’ Arena di Pola”, l’esodo comportò il trasporto di oltre 28.000 persone e 65 mila tonnellate di masserizie varie, mentre il Governo italiano dichiarò l’esodo da Pola chiuso con il 31 marzo 1947.

Nel gennaio 1947, prima ancora dell’annuncio ufficiale dell’annessione, venne decretato da parte della Vojna Uprava il cambio della jugolira con il dinaro, in circolazione da allora in tutta la Zona B  (quella istituita dall’Accordo Tito-Alexander).

Approfondimento: L’amministrazione militare dell’armata jugoslava (VUJA)

Con il passaggio a  Pola delle autorità jugoslave nel settembre 1947, si aprì una fase completamente nuova nella storia della città. Nuovi abitanti giunsero in città e nulla fu più come prima. 

L’esodo interessò nelle sue prime fasi, più lentamente, anche i rimanenti territori dell’Istria, sia quella costiera che dell’interno, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le proprie case a Rovigno, Parenzo, Pisino, Albona, Dignano, Valle, Gallesano, Pinguente, e, in particolare le isole di Cherso e Lussino e le località liburniche, prima ancora che, a seguito del Trattato di pace, gli abbandoni e le fughe di massa, e quindi il ricorso alle opzioni, travolgessero e sradicassero la quasi totalità della popolazione italiana, riducendo negli anni la presenza storica di questa componente alla condizione di ridottissima minoranza. 

Dopo un avvio abbastanza lento, nel corso della tarda primavera del 1948 il ritmo delle domande d’opzione si impennò bruscamente, sino a diventare una vera e propria valanga. L’esodo sarebbe proseguito per decenni, in varie fasi, sino a quella, altrettanto massiccia, che coinvolse gli italiani della Zona B, ovvero del Buiese e del Capodistriano, dopo la sigla del memorandum di Londra del 1954.