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L’esodo, per il regime, era da addebitarsi esclusivamente all’azione propagandistica delle forze «reazionarie» e non al nazionalismo di una parte dei nuovi poteri popolari, alla repressione e alle massicce campagne di epurazione condotte dalle autorità, ai processi sommari, le confische e le requisizioni, al clima di insicurezza e di negazione delle libertà civili che il nuovo sistema aveva introdotto.
Comunque, la politica ufficiale del regime jugoslavo nei confronti degli italiani fu quella della “fratellanza italo-slava”, vale a dire che in Istria e a Fiume potevano restare tutti quegli “onesti e buoni” italiani che accettavano l’annessione alla Jugoslavia, la costruzione del socialismo e la condizione di minoranza nazionale. Tutti gli altri diventavano “nemici del popolo”.
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Ne risultava un gruppo nazionale italiano privato del suo potere economico ed “epurato” sotto il profilo politico e sociale. Nel 1948, invece, allorché si arrivò alla rottura con l’URSS, anche i nuclei operai più consistenti e ideologicamente più motivati, che avevano appoggiato nel nome dell’internazionalismo il regime comunista e l’annessione dei territori alla Jugoslavia, diventarono oggetto di persecuzione politica; la scelta di schierarsi con Stalin, comportò l’arresto e la deportazione nel campo di “rieducazione” dell’Isola Calva.
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